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La discriminazione genera mostri e i mostri generano discriminazione.
Ebrei, omosessuali, zingari, malati di mente e “asociali”: ciò che il cittadino modello non doveva essere.

L’annuncio dell’entrata in vigore delle leggi discriminatorie nei confronti degli ebrei italiani segnò un passo importante nell’avvicinamento del fascismo italiano verso il nazismo tedesco. Tale atto non fu soltanto il tentativo di imitare una linea politica altrui per affinare i rapporti con il futuro alleato. Pur rimanendo nell’ambito delle sole discriminazioni razziali, l’Italia era già intervenuta nei confronti degli abitanti delle colonie dell’impero nel 1936 e nel 1937.
Ma l’atteggiamento ostile alle diversità non fu limitato alla sola diversità etnica né tantomeno caratterizzava soltanto le dittature nazifasciste. Infatti, anche le democrazie europee, seppur con alcune distinzioni da paese a paese, avevano strutturato una tipologia ideale di riferimento per distinguere il “buon cittadino” e il “buon patriota” dal diverso, deviante e/o malato. Anche per identificare con più facilità i soggetti non affidabili, la cultura ottocentesca aveva strutturato una galleria di “controtipi” che rappresentavano le caratteristiche degli individui o dei gruppi contrari e/o esterni alla società nazionale borghese europea.

Fu lo storico George Mosse a definire e usare questa definizione di “controtipo” nella quale trovarono collocazione le diversità razziali, di genere e di orientamento sessuale.
Ecco, in estrema sintesi, alcune caratteristiche chiave dei controtipi. L’assenza di radici rappresentò una caratteristica proposta con frequenza per descrivere gli ebrei considerati, al pari degli zingari, un popolo senza patria e senza legami. Con la formazione degli stati nazionali, emerse l’importanza della ricerca delle origini a sostegno della propria identità nazionale: la nobiltà di origine feudale diventò una caratteristica della nazione e non più di alcune famiglie dominanti. Di conseguenza, l’apparente assenza di queste origini nobili confinò fuori dai canoni i gruppi dediti nel presente o nel passato al nomadismo. L’aspetto fisico decadente era associato dalla medicina dell’epoca alla situazione del malato e, come tale, era ritenuto una minaccia per la società stessa. Nel suo insieme, la società poteva essere sana solo se i suoi membri lo erano anch’essi: la giovinezza e i fisici muscolosi garantivano la presenza della salute pubblica. Il coraggio, la forza e il controllo delle passioni e delle emozioni: in questo ambito rientra, ad esempio, la presunta vigliaccheria degli ebrei propagandata dagli antisemiti ma presente anche nelle farse popolari, in continuità con un antiebraismo di più antica data. In quest’ottica ebrei, omosessuali, zingari, malati di mente e “asociali” rappresentarono anche dal punto di vista dell’immaginario ciò che il cittadino modello non doveva essere e, pertanto, furono discriminati e perseguitati anche dalle democrazie europee. Le dittature nazifasciste portarono all’estremo quest’approccio puntando sulla definitiva assimilazione e/o eliminazione delle diversità. Per l’Italia, le leggi del 1938 confermarono la piena adesione del regime fascista alle politiche discriminatorie già in atto in Germania contro gli ebrei. Verso rom e omosessuali, invece, l’Italia agì principalmente attraverso l’operato della polizia, a partire dall’entrata in vigore del codice Rocco nel 1931. I principali strumenti giuridici e amministrativi che il fascismo utilizzò contro le diversità e in particolare contro gli omosessuali furono la diffida, l’ammonizione e il confino, ai quali vanno aggiunti il carcere e il manicomio, destinati espressamente ad altri casi di devianza ma utilizzati quali forme più dure e/o definitive di repressione. In Europa Occidentale l’antisemitismo di stato terminò con la fine del conflitto mondiale, con la sconfitta dei nazifascisti.

Ma poco cambiò nei confronti delle persone omosessuali che continuarono ad essere discriminate, seppur in maniera minore, anche dalle istituzioni delle nuove democrazie.
E in Italia? Fin dalla fine dell’Ottocento, e con la sola parentesi del ventennio fascista, non vi fu alcuna norma repressiva dell’omosessualità (anche se ci furono proposte di leggi in tal senso negli anni ’60 del ‘900). Pertanto, dopo il 1945 le discriminazioni continuarono attraverso gli approcci omofobi delle istituzioni (pensiamo ad alcuni scandali come quello dei balletti verdi a Brescia o al caso Braibanti o ancora gli approcci colmi di pregiudizi al caso Pasolini). In Germania, invece, il paragrafo 175 parte del codice penale tedesco dedicato alla repressione dell’omosessualità) venne addolcito nel dopoguerra ma abrogato definitivamente appena nel 1994. Guardando all’insieme delle discriminazioni nei confronti delle diversità, il 1938 rappresentò dunque per l’Italia l’apice di un percorso intollerante, esistente prima del fascismo e sopravvissuto ad esso, inserito in un lungo iter
di politiche miranti a omologare la società a una presunta “normalità”.
Conclusa la seconda guerra mondiale e, con essa, la dittatura fascista, iniziò un lungo e difficile percorso di  riconoscimento dei drammi subiti dai cittadini ebrei ma nulla venne fatto per altre vittime: omosessuali, rom, testimoni di Geova, per i quali non fu neanche riconosciuto alcun risarcimento dei danni, né materiali né morali.

Settant’anni dopo, passando dal 1938 ai giorni nostri, non possiamo non notare come il riconoscimento delle persecuzioni subite durante il periodo fascista dai “diversi” non ebrei, sia ancora agli albori, compresa la ricerca e la divulgazione storica dei fatti. Il pieno riconoscimento sociale e giuridico degli omosessuali è in Italia ancora lontano e ad esso si intreccia il palese aumento degli atteggiamenti e degli atti di omofobia. Tutto ciò, sommato al riapparire dell’antisemitismo e ai recenti approcci razzisti nei confronti dei rom, anche da parte delle istituzioni, porta a vedere la preoccupante attualità di quel lontano (?) quadro storico che in questo periodo ci apprestiamo a ricordare.

Marco Reglia - Fonte: KONRAD Il mensile del vivere naturale n. 139 settembre 2008 - Web: www.konradnews.it



Lettera aperta di Fiorenzo Gimelli, presidente di Agedo Nazionale:
Non esiste nessuna teoria gender: lasciate i forconi fuori dalle scuole !

I forconi possono far male a chi li usa impropriamente e questo è l'umile consiglio di un figlio di contadini.
Sparute minoranze fortemente ideologizzate e piene di odio stanno via via intossicando la scuola pubblica.
Si sono inventati la "teoria gender" e gridano al complotto di una sedicente lobby gay che vorrebbe omosessualizzare i bambini, costringendoli ad assumere informazioni devianti.

Bene, NON ESISTE NIENTE DI TUTTO QUESTO.
Stiamo raggiungendo il colmo in quanto a falsità, disinformazione e ribaltamento della realtà.
L'Italia, in tema di diritti, educazione sessuale e sentimentale, è il fanalino di coda dell'Europa occidentale: la scuola italiana non garantisce una crescita armoniosa e serena ai figli di tutti proprio perché la diversità viene continuamente stigmatizzata, grazie alla dittatura dell'odio che alimenta disprezzo e omofobia.
E' ora che le persone per bene, i cittadini e i laici comincino ad alzare la testa e ribellarsi per quello che sta succedendo intorno alla scuola.
Perché la scuola non dovrebbe, attraverso personale qualificato, fornire agli adolescenti una formazione specifica su cosa succede loro prima e dopo lo sviluppo e per quanto riguarda la sfera del sesso e dei sentimenti? Perché ciascuno dei nostri ragazzi non può essere, semplicemente se stesso? Quali pericoli ci sono?
Qui non si tratta di imporre scelte etiche o comportamenti, qui parliamo di informazione e di una formazione che abbia alla base contenuti tecnici e scientifici e non un credo religioso, naturalmente rispettabile, ma che non ha il monopolio dell'etica e meno che mai quello delle conoscenze scientifiche.
Qui parliamo di una formazione che sia complementare ai valori insegnati dalla famiglia.
La censura dei libri e dei film non è mai servita a niente. Impedire ai ragazzi di sapere significa costringerli all'auto-formazione sulla rete senza nessuna mediazione
e senza possibilità di discernere la qualità di ciò che trovano.

Tutti i ragazzi, LGBTI+ e non, disabili e non, qualunque sia il colore della loro pelle, il loro credo o lo status socio economico, devono essere aiutati a crescere individualmente ed in armonia con gli altri. I nostri ragazzi lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersessuali... etc. meritano un futuro e un progetto di vita. Come tutti gli altri.

Chi è sempre contro, quale futuro può disegnare per loro?



Associazione A.GE.D.O.
Associazione nazionale di genitori, parenti e amici di persone omosessuali, bisessuali e trans.

Fonte: post pubblicato su Facebook (marzo 2018).


OMO-BI-TRANS [ FOBIA ] STOP !

17 maggio: Giornata internazionale contro l’omofobia

Essa interpella l’umanità intera ad un necessario ed urgente impegno comune per far cessare discriminazioni e persecuzioni nei confronti degli esseri umani in relazione alle loro situazioni e scelte affettive e sessuali. Così come, anche meditando su tragiche esperienze storiche, l’umanità ha sentito il dovere di opporsi alle discriminazioni e persecuzioni crudelmente inflitte prendendo a pretesto altri elementi caratterizzanti l’identità di una persona, occorre che discriminazioni e persecuzioni cessino anche in riferimento all’orientamento sessuale e alle relazioni affettive.

La Costituzione della Repubblica Italiana all’art. 3 afferma limpidamente che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso,
di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Ed il Parlamento Europeo con la Risoluzione del 26 aprile 2007 sull’omofobia in Europa ha detto una parola definitiva ed enunciato un impegno cogente per far cessare la violenza omofoba, istituendo peraltro anche la Giornata del 17 maggio “quale Giornata internazionale contro l’omofobia” (art. 4).

Nella sfera della sessualità, è fin banale dirlo un secolo dopo l’opera di Freud, si attua un profondo intreccio tra corporeità e cultura, dimensione affettiva e pensiero logico
e discorsivo, riconoscimento di sé e dell’altro e pratiche comunicative, vissuto esistenziale e trama relazionale, nessi infrapsichici ed interpersonali:
forse nulla è più intimamente e problematicamente costitutivo dell’identità del singolo e nulla è più sociale e culturale di tale sfera.
E non a caso sul legame riduzionista e sulla imposta confusione tra la sfera della sessualità e quella della riproduzione si è costituito ed agito per secoli un brutale dispositivo
di repressione e controllo sociale su cui il pensiero e la prassi del movimento femminista di liberazione dell’umanità ha saputo fare piena luce denunciandone la disumana violenza, e studiosi come Michel Foucault hanno condotto ricerche decisive da cui tutti abbiamo molto appreso.

La difesa della dignità umana di tutti gli esseri umani richiede qui ed ora un impegno corale e persuaso contro la violenza omofoba così come contro la violenza razzista,
contro la violenza maschilista, contro la violenza totalitaria, contro la violenza sfruttatrice, mercificante, consumista, alienante, ecocida.

Fonte: Peppe Sini, responsabile del “Centro di ricerca per la pace e i diritti umani” di Viterbo, 16 maggio 2013.


       

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